Abuso del Diritto

La regola non scritta che emerge chiaramente dai principi generali del nostro ordinamento e da singole normative è che non si possono utilizzare gli strumenti giuridici leciti offerti dall’ordinamento per una causa diversa da quella per la quale lo strumento era stato concepito qualora ciò consenta di ottenere vantaggi che l’ordinamento non intendeva offrire o addirittura vietare.

In ogni suo campo il diritto va, quindi, usato attenendosi ai principi della buona fede e della tutela dell’affidamento: un uso diverso di esso costituisce “abuso del diritto” che va contrastato in primo luogo dal legislatore nel momento dell’emanazione delle leggi e poi da chi istituzionalmente è tenuto a fare rispettare le leggi.

In recenti decisioni della nostra Corte di Cassazione è stato affermato con forza il suddetto principio che vieta l’abuso del diritto in ogni suo campo; l’elusione fiscale è, nel campo tributario, una delle molteplici forme di “abuso del diritto”.

Con Sentenza del 21 febbraio 2006, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che costituiscono “abuso del diritto” tutte le operazioni che hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale, anche se per realizzarsi “abuso” non è necessario che l’operazione abbia lo scopo esclusivo del vantaggio fiscale, qualora i soggetti si avvalgano fraudolentemente o abusivamente del diritto comunitario.

Con riferimento all’ I.V.A, la Corte rileva che la Sesta Direttiva osta al diritto del soggetto passivo di detrarre l’I.V.A. assolta a monte allorché le operazioni che fondano tale diritto integrano un comportamento abusivo.

Perché possa configurarsi un comportamento abusivo occorre che, da un lato, le operazioni controverse, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle disposizioni della Sesta Direttiva e dalla legislazione nazionale che la traspone, portino ad ottenere un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo di tali disposizioni.

D’altro lato, deve altresì risultare da un insieme di elementi obiettivi che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.

Seguendo questi ragionamenti, la Commissione Tributaria di Milano si è pronunciata, per esempio, nella sentenza n. 118/20 del 7 aprile 2009, sul caso riguardante il diritto alle agevolazioni fiscali “prima casa” utilizzato in occasione dell’acquisto di un immobile da parte dei soggetti che, per poterne beneficiare, avevano venduto il 10% delle due abitazioni di cui erano proprietari ai propri figli al “solo scopo” di non apparire proprietari “esclusivi” degli stessi e per non perdere l’opportunità di godere dell’agevolazione fiscale “prima casa”.

La sentenza della Commissione ha riconosciuto che l’operazione posta in essere dai ricorrenti non dovesse essere ritenuta elusiva ai sensi dell’art. 37 bis del D.P.R. 600/1973 ma, allineandosi con le decisioni della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia, ha riconosciuto che essi hanno utilizzato un negozio giuridico, astrattamente lecito, per il principale obiettivo di ottenere un’agevolazione fiscale che altrimenti non avrebbero ottenuto, attuando in tal modo un “abuso del diritto.

Il medesimo concetto di “Abuso del diritto” è stato applicato anche al fenomeno successorio.

L’Agenzia delle Entrate, infatti, nella risoluzione 234/E del 24 agosto 2009, ha negato la possibilità all’interpellante di potersi considerare unica erede nella dichiarazione di successione della defunta madre, essendo deceduta anche la sorella prima che potesse compiere un atto di accettazione, espressa o tacita, dell’eredità della madre.

Fermo restando che il presupposto del tributo successorio va individuato nel momento dell’apertura della successione, che coincide con la morte, a prescindere dall’accettazione dell’eredità, chi acquisisce il patrimonio ha l’onere di presentare, oltre alla propria dichiarazione, anche le precedenti nel caso in cui i precedenti chiamati non vi abbiano provveduto o non abbiano potuto provvedervi; pertanto l’istante, tenuta alla presentazione di due dichiarazioni di successione, quella relativa alla successione della propria madre, indicando in essa, quali chiamati, se stessa e la sorella defunta e quella relativa alla successione della predetta sorella, non può esimersi dal farlo.

In tal modo, dal punto di vista fiscale, si realizzano due momenti di capacità contributiva e, di conseguenza, un doppio obbligo di pagamento dell’imposta di successione.

E’ per tale motivo che l’Agenzia delle Entrate ha negato la possibilità all’istante di rinunciare all’eredità della madre, in nome e per conto della sorella, ritenendo che lo strumento lecito della rinuncia, avendo il solo scopo di conseguire un vantaggio fiscale in tema di imposte sulle successioni, ipotecarie e catastali realizzato attraverso l’omissione di un passaggio successorio, porrebbe in essere un “abuso del diritto”.

A me sembra che parlando di abuso del diritto gli organi giudicanti o l’Agenzia delle Entrate nei richiamati provvedimenti, incorrono nello stesso errore…

Si fa riferimento allo “scopo” di taluni negozi, alla “intenzionalità” di abusare ascrivibile ai soggetti, a “finalità” estranee a quelle di legge; fattori soggettivi, difficilmente valutabili, che aprono la posta all’arbitrio di chi esercita un “potere”, amministrativo, esecutivo, giudicante, che non deve tanto giustificare le proprie azioni ribaltando sul cittadino l’onere di dimostrare l’assenza di tale stato soggettivo.

Un procedimento assolutamente aberrante.

Per esempio: le scelte relative ai rapporti di famiglia rientrano in un campo di scelte più complesse che non sono solo ragioni di opportunità e convenienza e comunque far discendere i propri comportamenti da ragioni di convenienza è lecito e normale ed in taluni casi doveroso; e quindi dove sarebbe il problema?

Il fatto è che queste interpretazioni pongono l’aspetto fiscale in primo piano fino a snaturare e comprimere altri aspetti anche più importanti ed incidere sulle cause degli atti.

Sembra quasi che la causa degli atti sia fondamentalmente quella fiscale e non quella che è loro propria in base alle leggi e alle costruzioni dottrinarie e giurisprudenziali.

Spesso in materia di imposta di registro ci viene fatto, dall’Agenzia delle Entrate, il richiamo all’art. 20 D.p.R. 131/86 a giustificare le deroghe del diritto tributario rispetto alle costruzioni civilistiche.

Ma io credo che quell’articolo dica il contrario o anche il contrario, rammento cioè a tutti, uffici compresi, l’ “intrinseca natura” e gli “effetti giuridici”; pertanto ove manchi una “definizione fiscale” di un determinato evento si richiama l’attenzione sulle norme e le elaborazioni civilistiche.

Pare che qualcuno ha scritto che le leggi, per costituire un sistema, devono essere coerenti e strutturate.